Marina Magni, nella sua rubrica su Citywire, risponde ai lettori che sono interessati alla professione di consulente finanziario.
Domanda: “Sono un bancario che gestisce 80 milioni di portafoglio, ho avuto un’offerta da una rete di consulenza che mi pone degli obiettivi da raggiungere per conseguire il premio di ingaggio ma io non so quante masse potrò trasferire. Vorrei che la rete in questione investisse su di me, non sul mio portafoglio.”
Marina Magni risponde
Le aziende investono con l’obiettivo di acquisire clientela tramite un professionista in grado di motivarla verso la nuova realtà.
In alternativa si rivolgono a giovani laureati senza portafoglio da formare nel tempo inducendo un forte senso di appartenenza ed una modalità di approccio al cliente secondo il proprio modello distributivo.
Questo sarebbe molto difficile con un professionista con esperienze significative alle spalle che hanno prodotto comportamenti difficilmente modificabili.
La domanda posta dal lettore ha una componente emozionale giustificabile dalla difficoltà di prendere una decisione tanto importante. Infatti da un punto di vista razionale quali vantaggi potrebbe avere l’azienda e lui stesso da un risultato modesto?
Iniziare la professione di consulente significa aprire un’azienda, per fare un paragone potremmo paragonarlo ad aderire ad un franchising. Le similitudini sono molte: si rappresenta un marchio, ci si posiziona in un territorio, si paga una royalty al franchisor, si rappresenta uno stile definito dalla casa madre.
Sicuramente chi decide di aderire ad un franchising fa un’analisi del possibile fatturato valutando il potenziale di mercato della sua zona, le sue conoscenze, la sua capacità di promuoversi, la sua professionalità, le sue idee di marketing, ecc….
La stessa cosa deve fare chi decide di entrare in una rete. I clienti già seguiti non rappresentano tutto il mercato, sono solo una parte di cui si possiedono molte informazioni, ma fuori da quel segmento ci sono tutte le persone che possono essere avvicinate per conoscenza personale o indiretta.
Si possono attivare collegamenti su linkedin, organizzare eventi on line su tematiche finanziarie, ecc…
Suggerisco sempre a chi sta valutando il passaggio di dotarsi di un file excel con le seguenti colonne: Nominativo cliente, Età, Professione, Anni di conoscenza, Qualità della relazione (da 1 a 5), Patrimonio nella mia banca, Patrimonio presso terzi, Tenore di vita, Città e Livello referenzialità.

In questo schema occorre inserire oltre ai clienti già seguiti tutte le persone con cui si può entrare in contatto. La colonna “tenore di vita” va compilata in base a quanto possiamo osservare con una definizione qualitativa “alto, medio, basso”.
Qualcuno potrebbe osservare che sia inutile inserire chi ha un tenore di vita basso perché probabilmente è poco patrimonializzato. Vero, ma non sempre. Ho conosciuto persone che nascondono dietro una vita modesta buone disponibilità oppure altri che hanno amicizie agiate a cui possono avvicinarci.
Se il file è ben costruito, il resto è statisticamente stimabile e con questo strumento è possibile approcciare gli obiettivi con serena consapevolezza del proprio potenziale.
Un esempio? Se dal file emerge un potenziale di 200 milioni (considerando chi ha un tenore di vita medio od alto possessore di 50/100.000 euro), con una stima prudenziale, basterebbe acquisire solo il 10% dei clienti per avere un portafoglio di 20 milioni. Passare dalle percezioni emotive ai dati oggettivi è il primo passo per avere successo.
Articolo a cura di Marina Magni pubblicato su Citywire